Lavorare stanca, è risaputo. E secondo il Work Report 2023 della società internazionale Kelly, attiva nel settore dei cosiddetti “cacciatori di teste”, mai detto fu più veritiero.
Nel nostro Paese ormai quasi il 35% dei lavoratori ha pensato (nell’arco dell’anno) di lasciare il proprio posto di lavoro entro breve tempo.
Lavoro infernale
Ma perchè i lavoratori italiani sono così scontenti di quel che fanno? E’ un dato di fatto: il personale dipendente, sia pubblico che privato, è altamente scontento della propria situazione lavorativa ovvero delle condizioni economiche in cui versa. Motivi dell’addio? In primis la voglia di ricercare un ambiente di lavoro ideale, almeno in termini di qualità della vita: difatti, a pesare (tra le ragioni dello scontento) di più è la serenità sul posto di lavoro, piuttosto che uno stipendio (leggermente) più alto.
A rimarcare il risultato della ricerca, a livello europeo un quarto dei dipendenti cita, tra le ragioni per cambiare lavoro: un maggior equilibrio lavoro – vita privata; la mancanza di prospettive di carriera; l’assenza di un adeguato programma per lo sviluppo delle proprie competenze.
Italia in linea
Come detto, il Belpaese è perfettamente in linea con gli standard internazionali: i lavoratori italiani “soffrono” per una condizione non adeguata ai propri livelli attitudinali. Sottopagati, stressati, con carichi di lavoro eccessivi, risorse insufficienti e con la costante sensazione di lavorare al limite dell’emergenza: tutto questo ha un forte impatto sulla salute psico-fisica di chi presta la propria opera professionale, al punto da valutare perfino l’addio all’azienda (pubblica o privata che sia). Altro detto illustra il rovello dell’eterno scontento: chi parte sa da cosa fugge, ma in fondo cosa cerca? Pare che il lavoratore medio abbia la risposta, scambiando la gratificazione economica con la tranquillità mentale.
E chi resta?
L’indagine invero prende in considerazione anche i lavoratori che contrariamente scelgono di restare: un 34% di quelli che non cambiano lavoro lo fa per un senso di sicurezza psicologica, mentre un 45% ha messo in atto il cosiddetto “quiet quitting”, ovvero le “dimissioni silenziose”, un tipo di comportamento minimalista, ossia fare solo il minimo indispensabile per non essere licenziati o che viene richiesto dal proprio ruolo. Il 54% degli intervistati ha poi dichiarato che il fattore che evita di andarsene sbattendo la porta, è il senso di appartenenza alla propria azienda attuale. Per i lavoratori italiani la fidelizzazione è comunque un fattore importante: prestare il proprio servizio presso aziende che risultano avere un approccio inclusivo convince a restare in oltre il 30% dei casi.