Dopo più di 40 anni e vari riallestimenti più o meno clandestini, torna alla reggia di Caserta la mostra “Terrae Motus”, la più amplia collezione d’arte contemporanea sui terremoti.
Voluta fortemente dal gallerista, attore e critico Lucio Amelio, scomparso nel ’94, è formata da circa 72 opere che prendono ispirazione dal catastrofico sisma avvenuto in Campania (oltre duemila vittime, decimo grado della scala Mercalli) il 23 novembre 1980.
Mostra terremotata
Per decenni questa raccolta di opere straordinarie, realizzate dai più grandi artisti del novecento, ha subito una sorta di ostracismo inspiegabile: “rifiutata” senza motivo apparente da Napoli, era stata donata dal curatore Amelio alla Reggia di Caserta. Con un vincolo espresso (per testamento), ovvero l’esposizione di tutto il corpus artistico negli appartamenti della stessa Reggia. “Terrae Motus”, colpita forse da una damnatio memoriae di riflesso, è stata conservata male, quasi abbandonata, presentata in modo parziale e poco professionale (fu imbarazzante l’ allestimento fattone dall’ex direttore Mauro Felicori nel 2016, in locali fatiscenti ed umidi).
Trent’anni di oblio o quasi, poi l’attuale direttrice della Reggia, Tiziana Maffei, in collaborazione con Angela Tecce, ha deciso di allestire l’intero opus magnum di Amelio, come lui voleva che fosse rappresentato: la straordinarietà di questa raccolta consiste nell’essere un unicum indivisibile, un puzzle intrecciato che si compone come un’unica opera d’arte.
Crossover immaginifico
Per l’occasione, dove occorreva, i lavori sono stati restaurati, per essere esposti sontuosamente nelle sale della Reggia casertana ricorrendo ad un crossover tra l’antico ed il moderno: ecco paesaggi e vedute ottocenteschi, trompe l’oeil, mobili barocchi e cesellature dorate, unirsi a squarci ed affioramenti contemporanei, con sicuro effetto straniante. Opere diverse, che sanciscono la fine dell’ordine neoclassico dei Borboni, rappresentando un’apocalisse di terra e fumi, fenditure e magma in tempesta: sculture e quadri compongono un frammentario disegno di una metropoli involontaria, sul baratro della devastazione più volte evocata, poi in concreto avvenuta.
Masserizie abuliche di Beuys, le rovine di Long, le pietre di Craig, le superfici di Pistoletto, le grafie di Twombly, le penisole a testa sotto di Fabro, le tribali scritture di Haring, le sculture frazionate di Paolini, l’assemblage di Rauschenberg, le composizioni di Kounellis, le serigrafie di Warhol, il magma di Schifano: tutto concorre all’idea disturbante di sconvolgente esplosione dell’ordinario, di disvelamento del caos primigenio.
Neoavanguardie a riflusso
E’ un riflusso di avanguardie novecentesche, immerse nell’alveo d’uno storicismo paludato: stili differenti che ci interrogano sul rapporto ininterrotto tra arte ed esistenza, Storia ed umano (dis)scorrere; ci spingono a guardare l’arte del XVIII secolo e quella delle neoavanguardie nel punto della mescolanza, con occhi diversi, al di là dell’ antitesi anacronistica.
Da un lato, la Reggia borbonica, locus elettivo di conservazione e di celebrazione della Storia; dall’altro, l’arte contemporanea, in un dialogo immaginifico con il passato, alla riconquista d’uno spessore ricco di rimandi alla memoria. Gli artisti esposti, figli del Terrae Motus radicati nella tradizione sperimentale del ‘900, risultano guidati dalla stella polare d’una nostalgia feconda, riaffermando con forza l’amalgama artistica di stili profondamente convergenti nella dissonanza artistica. Una Mostra da non perdere assolutamente!