Hotel Gallia, Milano. La sala è gremita, oltre 500 gli imprenditori presenti, più di 700 in collegamento remoto: l’Italia degli “sghei” si riunisce al cospetto del Ministro degli Investimenti saudita, Khalid Al-Falih.
L’occasione è il primo Italian Saudi Investment Forum: la via della seta non passa più da Pechino, bensì dalle rotte petrolchimiche di Riad. Accordo per sette anni tra Italia ed Arabia, un piano di investimenti di oltre i 3 mila miliardi di euro: così tanti petrodollari in gioco, da fare venire un colpo ai presenti in sala.
Sulla scia del Mancio
Tutti sulle orme di Roberto Mancini (quattro anni di contratto con la federazione saudita, circa 90 milioni di ingaggio): dal calcio al business, il passo è breve. A certificare lo storico incontro, tra made in Italy ed Arabian Way of Life, presente anche il Ministro D’Urso, patron delle Imprese e del “fatto in Italia”: sua la firma sotto il memorandum d’intesa, una sorta di lettera d’intenti in merito a cooperazione e promozione di reciproci accordi economici e finanziari.
“È una svolta storica”, sottolinea il Ministro, “L’Arabia Saudita è stata per lungo tempo un grande partner commerciale, un fornitore di energia per il nostro Paese. Oggi si passa dalla partnership commerciale, alla partnership tecnologica ed industriale tra le imprese italiane e quelle saudite”. Tradotto dal politichese, più soldi per gli investimenti incrociati, l’Arabia pomperà risorse nel nostro semi-asfittico sistema industriale: secondo D’Urso, il Sistema-Paese farà in tal modo un “salto significativo”. Verso dove, non è dato saperlo.
Colpo di spugna sui diritti umani
Riad dunque vuole fortemente investire nel Belpaese: dall’Arabia c’è la “disponibilità ad un confronto dialettico” per parteciparvi attraverso i lauti profitti del fondo sovrano Pif. Ma in questo bailamme e turbinio di amorosi intenti e strette di mano, risalta brutalmente un particolare: nessuno che abbia alzato almeno un sopracciglio, per stigmatizzare l’opportunità di stringere rapporti stretti (ancor più di prima) con un Paese dove i diritti (delle donne, della comunità Lgbt, delle minoranze) sono puntualmente irrisi e calpestati, dove un giornalista (tipo Jamal Khashoggi) entra in un’ambasciata saudita e non ne esce più, scomparso nel nulla, il suo cadavere eclissatosi.
Nessun problema etico, dunque? Nessuna remora? Mon Dieu!, non c’era conflitto per l’allora Premier Matteo Renzi, perchè dovrebbe esserci per l’attuale Governo a trazione meloniana? La realpolitik finanziaria impone strette di mano, sorrisi ai flash e poche domande filosofeggianti e moralistiche: sono i quattrini, bellezza, se non li prendiamo noi, qualcuno lo farà al posto nostro: “Io vi invito a guardare la realtà”, rincara D’ Urso, “dobbiamo partire dal sistema di valori europei” Però? “Ma il mondo è, comunque, molto diverso da quello che noi pensavamo e da quello che abbiamo realizzato”. Avanti tutta, e un saluto ai diritti umani negati.
Pecunia non olet
Ma chi troviamo tra i promotori dell’evento? Oltre al Forum Ambrosetti, abbiamo The Italian Trade Agency, Invest Saudi, Confindustria e la sua declinazione meneghina, Assolombarda. “È un’opportunità nuova”, aggiunge il presidente Alessandro Spada ,“L’ Arabia è un paese che si apre al mondo, sta investendo molto, è giusto valutarlo e provare a lavorarci assieme”. Come detto, al Forum sono arrivate più di 150 imprese da Riad, si attendono i nomi più importanti del capitalismo d’impresa all’italiana: per citare solo alcuni marchi e gruppi, abbiamo Eni, Snam, Cassa depositi e prestiti, Enel, Leonardo, WeBuild, Pirelli, Intesa Sanpaolo, Unicredit, Ita, Ansaldo, Saipem, Barilla, etcetera, etcetera.
Tutti insieme appassionatamente al gran tavolo imbandito, alla faccia del rispetto dei diritti, della trasparenza, e della coerenza etica che dovrebbe contraddistinguere un Paese democratico come il Nostro (o almeno quel che ne rimane). Del resto, come si dice? Pecunia non o(i)let.