I social rubano i nostri dati | Il rischio per la privacy aumenta

Incosciamente sappiamo che i social raccolgono i nostri dati personali: lo sappiamo, ma accettiamo di cedere una grossa fetta della nostra sfera personale per continuare ad usare le app sui nostri devices.

Allarme social, dati a rischio. photo web source

Ciò purtroppo è vero: i social ci spiano. E per avere la conferma basta collegare due smartphone alla stessa rete wi-fi: attivando sui cellulari l’app di TikTok (in Italia, sulla piattaforma abbiamo 14,8 milioni di utenti attivi al mese, 1,2 miliardi a livello globale), si verrà inondati da contenuti affini, frutto di ricerche combinate, e che vengono incrociate sui diversi smartphone grazie alla geolocalizzazione fornita dalla rete pubblica cui ci si è collegati.

I social, la nostra croce

Per aprire un nuovo account su di una piattaforma (e prendiamo come esempio proprio TikTok), bisognerà fornire i dati personali e creare una password. Età minima richiesta: 13 anni, ma il limite è facilmente arginabile, tanto è vero che sull’app cinese troviamno bambini di 9-10 anni. Di fatto non c’è nessun tipo di controllo.

Per continuare ad usare il nostro social di preferenza occorre accettare i termini d’uso e la policy privacy; le condizioni principali che siamo costretti ad accettare sono essenzialmente due, che TikTok sintetizza così: 1) l’app è gratuita, ma se ti iscrivi ti possiamo pubblicizzare o proporre in vendita prodotti commerciali; 2) i contenuti pubblicati sono di proprietà dell’utente, ma possono essere utilizzati e ripubblicati all’infinito da altri utenti (anche quando rimossi da chi li ha generati, continueranno a circolare) .

Raccolta dati

Autorizzando la violazione sistematica della nostra privacy consentiamo alle app social di raccogliere tutti i contenuti ed i dati che immettiamo sulla piattaforma prescelta: foto, video, audio, livestream, link, commenti, più i famosi metadati (fra cui, quando, dove e da chi è stato creato il contenuto postato). Messaggi, contenuti visualizzati e metadati sono fondamentali per profilare al meglio gli utenti iscritti al servizio: il tutto in nome del profitto continuo, dell’espansione del mercato e dei consumatori.

Ogni volta che utilizziamo TikTok, o social similari, generiamo migliaia di file di testo iperdettagliati con tutte le informazioni di cui sopra. A chi vanno questi dati? I file confluiscono nei server di proprietà delle piattaforme, in un’immensa rete di computer (CDN) che ri-distribuisce i contenuti ad altri soggetti attivi sul mercato.

Allarme social, dati a rischio – Photo web source

Tutti schedati

Per avere una minima idea della precisione dei dati raccolti su ciascun individuo, si può osservare il recente caso della cosiddetta “lista Xandr”, dal nome di uno dei principali data brokers internazionali: la lista permette di conoscere il grado di dettaglio con cui le società di profilazione operano. Ci sono, ad esempio, una serie di categorie: sull’etnia, le classificazioni di classe, la situazione finanziaria, lo stato di salute, etc.

Le informazioni raccolte vanno a comporre un mosaico personale, si stratificano nel tempo e non sono usate solo per la pubblicità da propinarci, ma anche (semplificando) per valutare il merito creditizio, per finalità di ricerca del personale e per il microtargeting commerciale (ma anche politico e sanitario).

Siamo nel pieno della società della sorveglianza digitale: abbiamo accesso a miriadi di informazioni, ma siamo sempre più schiavi, controllati da app globalizzate con tratti sempre più totalitari ed inumani.

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