Cento anni fa nasceva Italo Calvino, il nostro “maestro allegorico” per eccellenza. Vita non lunghissima (morì a 62 anni), ma piena di letteratura e concretezza: il primo sole a Cuba, terra d’infanzia e leggerezza, poi Sanremo, infine la seriosa Torino.
“Vivevo in un mondo agiato, sereno, avevo un’immagine del mondo variegata e ricca di sfumature contrastanti”, diceva della sua “prima vita”; poi venne la Guerra, la Resistenza, i “conflitti accaniti”, come definiva le oscenità guerresche, infine la consapevolezza: prese un fucile, salì sulle Alpi, a difender terre ed ideali libertari.
Torino, ovvero la grande letteratura
Torino, il centro gravitazionale del suo mondo critico e letterario: da una parte la città industriale, dell’acciaio plasmato in forma di macchina, del Lingotto ingegneristico; dall’altra la casa madre, quell’Einaudi che pubblicò tutte le sue opere, nutrendone lo spirito. Studiò nella capitale sabauda, prima agraria e poi lettere: e proprio alla facoltà di lettere conoscerà Cesare Pavese, il primo lettore delle sue multiformi opere. Si narra che appena Calvino finisse un racconto corresse indi a farlo leggere a Pavese, che chiamava a sua volta Natalia Ginzburg: erano gli anni convulsi in cui l’Einaudi muoveva i primi passi, un divenir d’idee e talenti sparsi.
Ginzburg un po’ sbuffava, quel ragazzo era troppo prolifico, che scrivesse un romanzo perdio! Pavese, con l’aria sorniona, abbozzava: nel ’47 Calvino pubblicò il suo primo romanzo (Il sentiero dei nidi di ragno) proprio con l’Einaudi; seguirono poi numerose raccolte di racconti, tra i più noti Le Cosmicomiche e Fiabe italiane.
Il doppio e i suoi riflessi
Chi non conosce la storia di Cosimo Piovasco di Rondò, il nobile ragazzo che ascese per protesta sulle vette arboree, per mai più discenderne? Alberi come picchi da cui lanciarsi nel profondo delle emozioni umane, innamorandosi, vivendo e infine sparendo, aggrappato ad una mongolfiera, etereo eppur corporeo, come sempre aveva vissuto. Il barone rampante, assieme al Visconte dimezzato ed a Il cavaliere inesistente (scritti negli anni ’50) compongono il cosiddetto “ciclo del doppio”, della divisione, dell’opposto.
Ben presto Calvino esplorerà altre mete letterarie (Il castello dei destini incrociati, Le città invisibili, La speculazione edilizia e La nuvola di smog), dalla meta-letteratura si passerà allo spaesamento contemporaneo, ai problemi tragicomici della modernità; fino al ragionamento sulla stessa matrice della letteratura, dall’autore definita come un insieme di “infiniti universi contemporanei, in cui tutte le possibilità vengono realizzate e in tutte le combinazioni possibili”.
La politica
L’esperienza della Guerra, e della susseguente Resistenza partigiana, ebbe un ruolo fondamentale per l’adesione di Calvino al Partito Comunista Italiano, che abbandonò nel ’57, dopo i fatti d’Ungheria (con l’invasione dei carri armati sovietici a falcidiare le proteste pacifiste e socialiste): “Il PCI sembrava avere il programma più realistico per opporsi alla rinascita del fascismo e per riabilitare l’Italia”, aveva detto, per poi aggiungere di esser divenuto “apolitico”, preferendo l’impegno civico.
Leggere le opere di Calvino non è un’impresa facile, neanche per i lettori più accaniti: in 61 anni di vita ha scritto oltre 20 libri, decine di recensioni, più di 500 articoli giornalistici per varie testate (l’Unità, La Repubblica, il Corriere della Sera): è stato difatti uno dei protagonisti del secondo dopoguerra, una voce fondamentale del panorama letterario, autore di storie leggere all’apparenza, eppur profonde, amare e grottesche, infinitamente comiche, dannatamente umane.