Ritmi vertiginosi, turni scadenzati al nano-secondo, migliaia di oggetti da maneggiare: lavorare in uno stabilimento Amazon è un impresa da robot.
Un rumore costante, che non concede tregua: chilometri e chilometri di nastri trasportatori, continuamente in movimento. Suoni, led, monitor; ed oggetti a migliaia, a milioni, ovunque
Amazon made in Italy
Il colosso Amazon ha colonizzato anche il Belpaese: solo in Piemonte ci sono tre mega impianti; quello di Novara, ad esempio, conta 60mila metri quadrati per ognuno dei quattro piani. La forza lavoro conta circa mille unità, che possono aumentare esponenzialmente nei periodi cosiddetti di “Black Friday” (la settimana “americana” dei prodotti venduti a prezzi scontati) o sotto Natale. Di media tre turni da otto ore, chi ha famiglia può chiedere l’orario centrale, 8,30-16,30: si lavora sei giorni su sette questo periodo si lavora sei giorni su sette.
Controllo maniacale per i dipendenti, telecamere ovunque, anti-taccheggio anche all’interno della struttura: i furti di merce non sono una eventualità peregrina. La struttura di un Amazon Centre è composta di media da quattro macro-aree: ricezione della merce (receive), stoccaggio della stessa (stow), prelievo (pick), e infine impacchettamento per la spedizione (pack). Un serpente reticolare, di nastri multicolore, convoglia i pacchi verso i vari settori: metri e metri di pile di scatoloni, imballaggi, confezioni.
Addetti alla catena (al collo?)
In un impianto semi-automatizzato, la presenza umana è comunque indispensabile: il compito principale degli umani è diventare un ingranaggio “impacchettante”: i prodotti devono essere estratti da maxi-confezioni, adagiati su rulli, inviati a successivi gruppi di lavoro, lavorati e ricollocati per la spedizione. Il tutto in tempi da sprinter: circa sette-otto secondi a prodotto, in media. Il lungo serpentone di prodotti sale e scende, tumultuosamente si inerpica tra i piani: alla fine della catena, i prodotti saranno inscatolati e spediti agli acquirenti, per poi arrivare nelle case di milioni di persone.
Il cuore del Molock, è l’area magazzino: 180 mila metri quadrati, dove i prodotti arrivati vengono stoccati e poi, in base agli ordini, prelevati, impacchettati etichettati e spediti; lo stoccaggio è l’unica cosa davvero casuale, i prodotti si collocano nel primo spazio libero a disposizione. Tutto il resto è video-sorvegliato, scadenzato, centellinato fino all’ultimo secondo, fino all’ultima spedizione di giornata.
Amazon: ritmi da uomo-macchina
Il ritmo lavorativo è frenetico, impressionante: a seguire la progressione delle varie fasi ci sono i responsabili di area; sono persone maniacali, allertate a seguire ogni fase della catena di montaggio: i tir devono partire in perfetto orario, guai a tardare. Ove mancasse qualche oggetto, il camion partirebbe comunque, la consegna salterebbe ed Amazon dovrebbe risarcire il cliente.
Tutti gli addetti hanno un solo mantra in testa: “raggiungere l’obiettivo di consegna, nel più breve tempo possibile”. La pressione si sente, è costante: il segreto che permette a un pacco di arrivare a casa il giorno dopo averlo ordinato è tutto qui; un maniacale controllo del processo, nonché un’incessante pressione ambientale sul lavoratore.
Ecco perché la media dei lavoratori Amazon è giovanissima; ecco perché il turnover è altissimo: tanti neoassunti lasciano dopo poco, usurati da ritmi altissimi ed alienanti. Ed ecco perché iniziano a vedersi i primi scioperi della forza lavoro anche in Amazon. La logica di impresa è nitida: ottimizzare la prestazione umana, avvicinarla il più possibile a quella di una macchina. Vedremo presto se l’uomo si farà robotizzare, per meglio cedere al capitalismo tecnologico, oppure no.