Il calcio internazionale (soprattutto europeo) parla sempre più arabo.
L’Osservatorio C.I.E.S. (Centro Internazionale di Studi dello Sport) ha da ultimo tracciato la mappa degli sceicchi proprietari di club in Europa: una vera e propria invasione, il “soft power” dei petroldollari che permea la politica (calcistica, per ora) della Vecchia Europa.
Una pioggia (nera) di dollari
L’ultimo capriccio dei paperoni con la kefiah è il prodotto calcio: non c’è solo il nuovo Newcastle del Fondo (PIF) dell’Arabia Saudita, col principe Bin Salman in testa, da qualche anno anche il Paris Saint Germain (Nasser Al-Khelaïfi, Quatar) ed il Manchester City ( Mansur bin Zayd Al Nahyan, Emirati Arabi) sono al servizio dei petroldollari arabi (e viceversa): sono ormai dieci i club tra Inghilterra, Spagna, Belgio e Francia che hanno come soci (sovente di maggioranza) investitori del Golfo. I signori del deserto portano con sé una scia innumerevole di conflitti e contraddizioni legali, con diritti negati ed umanità sospesa.
Sono anni che Amnesty International denuncia lo stato dell’arte, in termini umanitari, e da ultimo si parla molto di “sportwashing” (soprattutto dopo i Mondiali del ’22 in Qatar, con le denunce di gravissime violazioni nei confronti dei diritti umani nella costruzione degli stadi). A tacer delle discriminazioni nei confronti di gay/lesbiche/trans e minoranze etniche: categorie sociali trattate da specie sub-umane, alle quali sono negate le più basilari condizioni di salubrità, igiene e sicurezza.
I nuovi padroni
Da sempre il legame tra calcio, potere, soldi e media è centrale nello sviluppo della politica FIFA e UEFA: basti pensare che da giorni le tv sportive italiane non fanno che parlare del trasferimento del player Sandro Tonali da parte proprio del Newcastle, per una cifra che oscilla tra i 70 e gli 80 milioni di euro. Grazie ai media, il calcio (ed in primis quello della Premier League), è uno degli sport più seguiti a livello globale, il veicolo ideale per consolidare il cosiddetto “soft power” politico. Dietro le maggiori squadre a livello europeo vi sono i fondi di investimento controllati dagli stati del Golfo: sono loro i nuovi padroni del calcio (e in generale) dello sport che conta. Ad esempio, il Newcastle è controllato da un fondo stimato intorno ai 430 miliardi di dollari guidato da un membro della famiglia reale Salman, il principe ereditario, con un patrimonio di 18 miliardi di dollari (a livello dello sceicco Mansur, proprietario del City).
La democrazia è un optional
Il Qatar, come gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein come l’Arabia Saudita, sono Paesi che stanno impiegando tutte le loro risorse finanziarie per acquisire il diritto delle masse all’intrattenimento sportivo: la sponsorizzazione di squadre di calcio, del ciclismo, dei circuiti di Formula 1, del Motomondiale, rientra in una strategia ad amplio raggio, dove il diritto, la democrazia, sono scenari fumosi, applicazioni futuristiche e al di là da venire. Inutile tappar le orecchie, con il capo insabbiato: sono Paesi dove la democrazia è un valore minoritario, se non un vero e proprio intralcio all’espansione economica. Però il tifo è cieco, ed il tifoso medio sogna ad occhi aperti quando si tratta di calcio e denaro: tutti vogliono un emiro come presidente della propria squadra, essendo celeri nel barattare la storia (millenaria) del diritto e della democrazia europea (faticosamente raggiunti) per un Leo Messi, un Mbappè o un Ronaldo in più. Amen.