La vita di Andrea Leombruni è cambiata per sempre, a causa di quel maledetto sparo. E’ lui ad aver premuto il grilletto, colpendo a morte l’orsa Amarena.
La vita a San Benedetto dei Marsi, in provincia de L’Aquila, solitamente scorre tranquilla. Ma da quel “maledetto sparo”, il 31 agosto 2023, la vita della comunità è stata sconvolta: qualcuno aveva ucciso l’orsa Amarena, animale protetto dal Parco Nazionale d’Abruzzo.
Uno sparo nel buio
Quel “qualcuno” era appunto Leombruni, che imbracciato il fucile, aveva colpito a morte il plantigrado, il quale aveva improvvidamente invaso la sua proprietà. La morte dell’orsa è stata uno spartiacque: sia per l’omicida che per i cuccioli dell’animale. Da subito è stata’ una lotta contro il tempo: da una parte l’uomo, che evita da allora qualsiasi contatto con l’esterno, sperando di essere dimenticato quanto prima; dall’altra i piccoli orsi di circa otto mesi, che scappano via, isolandosi per timore degli uomini, così rischiando di morire di fame, senza più cure materne.
Quello sparo nel buio ha cambiato il destino di molti: “Ormai abbiamo capito che non sono rimasti fermi solo nella zona dove la loro madre è stata uccisa”, sottolinea Luciano Sammarone, direttore del Parco d’Abruzzo, che nutre ottime speranze sul futuro dei cuccioli. Data la loro età, sono completamente svezzati: le montagne sono rigogliose di frutti in questa stagione, dunque molto probabilmente sopravviveranno.
Orsa amarena, la gogna pubblica
“Sono tre giorni che non dormo e non mangio, in pratica non vivo più”. E’ decisamente avvilito Andrea Leombruni: continua a ripetere urbi et orbi che no, non voleva uccidere l’orsa, voleva solo farla scappare, allontanare dal suo giardino. Nel buio qualcosa è andato storto, il colpo è stato esiziale. Da allora il calvario, un Golgota di telefonate minatorie, insulti sui social, minacce di morte:“Hanno perfino chiamato mia madre 85enne, tutta la mia famiglia è sotto una gogna”.
L’uomo è accusato del reato di uccisione d’animali selvatici, con l’aggravante che l’orsa marsicana è specie protetta: rischia dai 2 mesi ai 4 anni di reclusione. “Ho sbagliato, e l’ho capito subito dopo aver esploso il colpo”: da quel momento, è partita la caccia all’uomo, braccato via internet e telefono, costretto a barricarsi in casa.
Campagna d’odio
Leombruni è spaventato, teme per sé e la sua famiglia: vicino a casa sua intanto è comparso un murales, poi rimosso, che ritraeva un cacciatore e la scritta “Giustizia”. Gli animalisti sono sul piede di guerra, attirati dal clamore mediatico della vicenda: giurano vendetta, a tal punto che alcuni amici e conoscenti dell’uomo si sono proposti per delle ronde spontanee a protezione dell’ (involontario) killer d’orsi.
A questo punto è lecito domandarsi se il limite non sia stato spostato troppo in là, se sia giusto che un uomo, per quanto (presunto) colpevole di un reato penale, che ha comunque collaborato fin da subito con le indagini, che si è dimostrato affranto per il gesto compiuto e che non ha precedenti di sorta con la giustizia, sia esecrato, additato ed esposto ad un processo alle intenzioni su pubblica piazza. E allora, è giusto interrogarsi ancora una volta su chi sia la vittima e chi il carnefice, in fattispecie mediatiche dove condannare è altrettanto semplice che uccidere, seppur senza pallottole.