L’Italia “stecca” la prima del nuovo ciclo, con Spalletti in panca. Il nostro è un ottimo stratega, di certo non un mago: in una settimana di allenamenti, miracoli non se ne fanno.
90 minuti per ritrovare la voglia e l’entusiasmo. Ma anche per sopirlo, allontanarlo: con la Macedonia una gara in chiaroscuro, un grigio antracite a scolorire l’azzurro carico delle maglie.
Azzurro stinto
Divisa impeccabile, occhio vigile, Spalletti si presenta sul campo di patate di Skopje (indegno il terreno di gioco) con idee semplici e decise ma giocatori mediocri: palla lunga e verticalizzare, che può bastare per sfangare l’avversario (in teoria molto meno blasonato dei Nostri), eppure. Eppure, anche se il primo tempo risultava alquanto sufficiente per l’impegno mostrato, con una Nazionale che meccanicamente provava ad interpretare il credo spallettiano, la seconda metà di gara calava la mannaia sul destino dell’Italia: pareggio dei macedoni (dopo il goal di Immobile), su mezza papera (di posizione, su punizione dal limite) del Gigio nazionale.
Compagine di talenti stinti, con poche eccezioni decenti (Di Marco, Di Lorenzo, una spruzzata di Tonali), si è dimostrata espressione di un sistema-calcio in crisi volontaria, dal momento che non si riesce ad andare oltre i buoni propositi, alle parole ciclostilate, e dopo ogni sconfitta ci si trova ad inseguire un fumoso riscatto, che mai soddisfa perchè sempre più si allontana.
Notti magiche (per gli avversari)
Da tempo immemore gli Azzurri non rappresentano una squadra vincente, con la mentalità dominante: subiscono sovente gli avversari, qualsiasi avversario, non riuscendo ad imporre uno straccio di gioco nello spazio: la partita giocata ieri ne è l’esempio lampante. Prendiamo ad esempio il macedone Ashkovski, un giocatore attualmente senza squadra, che si allena da solo, e che a tratti sembrava imprendibile per il nostro centrocampo.
Oppure Dimoski, valore di mercato ben 70mila euro, che spingeva come un aratro sul campo tuberoso dello stadio macedone. Per tacere di Elmas, che Spalletti conosce bene (e viceversa): pareva un Pallone d’Oro, a dribblare il mondo intero. Ieri si è avuta la conferma che il lavoro di “Big Luciano” sarà durissimo, dovendo arrangiarsi con quel poco che la Serie A italiana è in grado di mettergli a disposizione.
Miracoli non se ne fanno (ma non si sa mai)
Come detto, da Spalletti, all’esordio nella nuova veste, non potevamo pretendere miracoli: troppo poco una settimana, non a caso ha investito sulle motivazioni individuali, collettive (la fascia di capitano a Ciruzzo Immobile, ad esempio). Per il nuovo nocchiero fondamentale è l’interpretazione del ruolo, a prescindere dal disegno in campo: la difesa a quattro, con interpreti che sovente in campionato giocano a tre (Mancini, Bastoni e Dimarco); Mancini è uscito per primo, per infortunio (le patate in campo non perdonano), sostituito da Scalvini, altro difensore impiegato nella linea a tre.
Dopo poco l’ingresso di Zaniolo, in ritardo di posizione, condizione e mentalità: suo il fallaccio che ha spianato la strada alla punizione a giro del pareggio, con Donnarumma freddato sul suo palo sinistro. L’errore del portiere, non più fenomenale, è stato la ciliegina sulla torta a zolle sfatte della notte macedone. Per acciuffare il secondo posto e la qualificazione servirà molto altro (forse il famoso miracolo?).