Guerra Israele-Palestina | Ecco perché la sfinge Abu Mazen resta a guardare

La Guerra costringe il mondo a schierarsi. Ed il mondo intero, in questo momento, dice la sua sulla guerra tra Israele e Palestina, dopo il brutale attacco di Hamas e la reazione muscolare di Netanyahu.

Abu Mazen

Tutto il mondo parla, scrive, dibatte: tranne Abu Mazen, lo storico Presidente palestinese. L’unico verbo profferito, dopo il feroce attacco delle milizie di Hamas, è stato sulla Palestina, che sempre e comunque “ha il diritto di difendersi”,  e nulla più: la verità è che l’Autorità Palestinese, attualmente, è come evaporata, svanita del tutto.

Il vecchio Abu

Abu Mazen è anziano, è un dato di fatto: ha 88 anni, ormai. Sovente non sembra neanche così presente a sè stesso: il suo mandato è scaduto nel 2009, ma le elezioni continuano ad esser rinviate, proprio perchè Hamas è ormai il primo partito e rischierebbe di vincere a man bassa. Il Presidente Abu per molti non rappresenta più niente e nessuno, e probabilmente da tempo: la crisi affonda negli anni passati, forse dagli stessi Accordi di Oslo.

Quel giorno del 1993, in Norvegia, furono siglati i negoziati tra Israele e l’O.L.P. (Organizzazione per la Liberazione della Palestina), come parte di un processo di pace che mirava a risolvere il il conflitto arabo-isrealiano: gli accordi portarono all’istituzione dell’ Autorità Nazionale Palestinese, con il compito di autogovernare (anche se limitatamente) parte della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

In verità, la possibilità di un cambiamento reale fu frustrata fin dall’inizio: dai primi anni di presidenza, venne fuori che i bilanci statali erano truccati, e che circa il 40% degli stanziamenti spariva sistematicamente in appropriazioni indebite; da allora, per attrarre investimenti sui territori, sono stati concessi monopoli in abbondanza, sull’ l’elettricità, sul cemento, sulle telecomunicazioni, legando indissolubilmente imprenditoria e politica a triplo filo.

Conflitti eterni

Eppure Abu ha l’aria placida: il problema ora è che Mazen non è solo il Presidente dell’Autorità Palestinese; è anche il segretario di Fatah, il principale partito palestinese (almeno su carta), nonchè dell’O.L.P. Che sarà pure un residuato bellico del secolo scorso, probabilmente una sigla ormai minore, eppure rappresenta tutti i rifugiati sparsi in Medio Oriente, i palestinesi della diaspora: tecnicamente è stata proprio l’Organizzazione palestinese a firmare gli Accordi di Oslo, conducendo in prima linea (attraverso il vecchio Abu) i negoziati con Israele.

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Domino mediorientale

La verità è che, seppur svuotata di significati e potere, la carica di Abu Mazen è ancora preziosa: senza regole chiare e condivise per la successione verrà giù tutto il castello, tutte le tessere del domino mediorientale. Viene giù l’Autorità Palestinese, viene giù Oslo e viene giù soprattutto il principio dell’autonomia di due Stati autonomi incidenti sullo stesso territorio: questo significherebbe anche il mancato riconoscimento di Israele come Stato, con un’ulteriore escalation conflittuale nell’area

Il momento è ben grave e l’equilibrio sottilissimo: la guerra rischia di divenire un’ecatombe umanitaria, col vecchio Abu che, silente ed etereo, resta sullo sfondo a guardare.

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