Infine è arrivata l’ultima vignetta: Sergio Staino, il papà spirituale di Bobo, uno dei vignettisti e disegnatori satirici più stimati, è morto ad 83, dopo una lunga malattia.
Intellettuale scettico, da sempre a sinistra, ben presente nel dibattito politico della nostra beneamata Italietta, Staino creò il personaggio “disorganico” di Bobo (alter ego dello stesso vignettista), in perenne conflitto e rovello, tra l’esser fedele alla linea del partito e la disillusione acidula che la realtà sovente produce.
Bobo in the sky
Bobo, la sua creazione più riuscita, è il frutto di una profonda analisi interiore: le sue strisce hanno da sempre riscosso un enorme successo, fin dalla fine degli anni ’70, quando la barba incolta ed il nasone occhialuto apparvero tra le pagine di Linus, forse la più importante rivista a fumetti d’Italia.
Ottenne da subito una grande popolarità, rappresentando i desiderata e le frustrazioni di molti militanti di sinistra: negli anni successivi Bobo moltiplicò le sue uscite, apparendo sull‘Unità (il principale quotidiano del Partito Comunista Italiano), Il Corriere della Sera, il Venerdì di Repubblica, l’Espresso, Cuore (magazine satirico di grandissimo successo) e Tango (“il padre” da cui nacque indi Cuore), l’esperimento critico-satirico nato da un’idea di Staino, costola della stessa Unità.
Bobo, questa emanazione a nero china del suo autore, è stato per decenni lo spirito critico dell’animo comunista (inteso all’italiana, ca va sans dire), con incursioni continue nell’’attualità, ovviamente politica, ed ampie dosi di sarcasmo, condite con abbondante autocritica.
Rovello comunista
Come Staino, Bobo si presentava come un militante critico, con la tessera del PCI in una tasca ed un pugno di mosche nell’altra: continuamente tormentato dalla necessità di far convergere lo spirito rivoluzionario delle origini con (l’iniziale) ambizione berlingueriana di governare, il nostro antieroe si struggeva nel profondo, non rinunciando mai all’ironia ed al pragmatismo anti-retorico. Bobo in fondo rappresentò ed incarnò i tormenti dell’elettorato comunista italiano tra gli anni Settanta e Ottanta, quando il partito cominciò gradualmente ad allontanarsi gradualmente dall’Unione Sovietica (la permanenza del legame era invece rappresentata dall’amico di Bobo, l’organico Molotov).
Come molti elettori, Staino reagì alla nuova traccia con iniziale scetticismo e prossima speranza, condividendo a malincuore lo scioglimento del partito, nel 1991: nel prosieguo Bobo divenne elettore (controvoglia) delle varie declinazioni pencolanti e sgarrupate del fu PCI (prima P.D.S., poi D.S. infine P.D.), mantenendo sempre il solito atteggiamento sornione, scettico, forse desolato (seppur intimamente fiducioso) nelle sorti magnifiche e progressive della sinistra italica.
Intellettuale poliedrico
Oltre lo spazio bianco delle vignette da riempire, Staino è stato un fine intellettuale, autore televisivo di rilievo, financo regista cinematografico (realizzò due film, Cavalli si nasce nel 1989 e Non chiamarmi Omar nel 1992): nel 2016 assunse la direzione dell’Unità, ma fu un’avventura ben più breve d’una striscia a fumetti; si dimise appena un anno dopo, in rotta con l’editore, per un piano licenziamenti lacrime e sangue.
Colpito da una grave limitazione alla vista, quasi che non volesse vedere le ultime trasformazioni ultra-liberali in salsa capitalista della società italiana e del suo principale partito di sinistra (la ferita Renzi tarderà a cauterizzarsi), Staino ha collaborato fino agli ultimi giorni con il gruppo La Repubblica e con la Stampa, illuminando a giorno l’eclissi lenta e progressiva della sinistra italiana.