Napoli si appresta a vivere un momento molto particolare e toccante allo stesso tempo, il giorno 2 novembre.
L’epidemia di colera che, nei secoli passati, ha devastato la città, ha lasciato profonde ferite, nonché anche il ricordo di tantissimi che persero la vita a causa di ciò.
Nella zona Est della città, esiste un cimitero dove furono sepolte proprio le vittime di queste epidemie. E, in occasione della Commemorazione dei Defunti, un momento di ricordo ancora oggi per loro viene celebrato.
Un ricordo particolare
Quando pensiamo alle epidemie di colera, pensiamo a qualcosa avvenuto nei secoli passati, molto addietro alla modernità di oggi. E, invece, non è così. A Napoli, infatti, l’ultima epidemia si è avuta proprio agli inizi del secolo scorso, nel 1910, e furono tantissime le persone ed i cittadini che persero la vita.
Non potevano, sappiamo bene, esser sepolti in un unico cimitero, insieme agli altri che morivano di “morte naturale”: dovevano esser sepolti altrove, in un luogo dove non potessero contaminare più. Una storia dolorosa senz’altro che, ancora oggi, vale la pena raccontare, perché queste anime non vadano dimenticate.
Torniamo ancora indietro nel tempo. Nel 1836 una grave epidemia di colera colpì Napoli mietendo un altissimo numero di vittime. L’epidemia si articolò in due fasi: la prima durò dal 2 ottobre 1836 all’8 marzo 1837. La seconda, dal 13 aprile al 24 ottobre 1837. Per seppellire i cadaveri fu, inizialmente, aperta una fossa comune presso il monte di Lotrecco, a fianco del cimitero delle 366 Fosse, abbattendo un muro di quest’ultimo.
Quando l’epidemia sterminò una popolazione intera
Ma tutto questo non bastò. Fu la periferia a soffrire più di tutta la città. Per questo, sempre nel 1836, a Barra, zona Est della città, ne fu “costruito” un altro, atto non solo ad accogliere coloro che in quest’epidemia morirono, ma anche coloro che saliranno al cielo nelle successive epidemie avutesi nel pieno del XIX secolo. Nessuno mai avrebbe pensato che, proprio lì, avrebbe trovato sepoltura anche il fisico Macedonio Melloni, ideatore dell’Osservatorio Vesuviano.
Oggi, dopo più di due decenni d’abbandono, questo luogo sacro, dove riposano ancora le tante vittime di quell’epidemia e dove è ancora possibile leggere le loro lapidi, torna a vedere la luce. Sono quasi 7000 le persone lì sepolte.
E domani, proprio in occasione della Commemorazione dei defunti, un’associazione del territorio, “Voce nel deserto”, celebrerà una santa Messa, alle ore 16, proprio in questo luogo per pregare e ricordare tutte quelle anime, dimenticate dal mondo, ma non di certo da Dio Padre.
Il cimitero dei Colerosi, purtroppo, non è aperto al pubblico ed attende ancora di esser riqualificato nella sua completezza. Si trova al confine fra il Comune di Napoli (quartiere di San Giovanni a Teduccio) e il comune di San Giorgio a Cremano.